IL TRENO DELLA MEMORIA 2017

Questo viaggio ci ricorda che anche noi dobbiamo chiedere scusa.

Questo diario è il nostro contributo nel farci tramite e portavoce della memoria degli uomini internati, deportati e destinati alla morte.

 

GIORNO 1          27 gennaio   SI PARTE!

Ed eccoci a Bari, ci ritroviamo puntuali, alle ore 9,00 di una freddissima e soleggiata giornata di gennaio, non una giornata come tante, oggi è il 27 gennaio, ricorre la giornata della Memoria, istituita con gli articoli 1 e 2 della legge n. 211 del 20 luglio 2000.

Ci salutiamo e guardiamo le nostre valigie. Le valigie della memoria. Molti le avevano pronte da mesi. Trecentocinquanta valigie pronte per il viaggio: mancavano poche ore e poi si partiva per il lungo percorso che ci aspettava.

Noi facciamo parte del gruppo U. Ci siamo fatti coraggio, pensando che U è un buon auspicio. U come Uniti, Umili, Unici. E abbiamo finalmente scoperto il nostro itinerario: Budapest e poi alla volta di Cracovia.

Adunanza d’obbligo in assemblea, saluti alle mamme, ai papà, ai fidanzati e agli amici.

Carichiamo i bagagli sul pullman e partiamo.

Ore 23,00. Siamo in viaggio ormai dalle 14,00, quindi più o meno 10 ore.

Nel discorso di buon viaggio che ci hanno rivolto ieri all’assemblea introduttiva ci è stato detto “Prendetevi il tempo che vi serve. Sarà un viaggio lento e stancante. Ma proprio per questo riuscirete a metabolizzare con calma tutte le emozioni”.

Siamo ancora un po’ tutti in un clima surreale in cui forse non abbiamo ancora realizzato tutto ciò che andremo a fare questi giorni.

Ieri mattina è stato davvero emozionante vederci tutti e 350 riuniti nell’Auditorium dell’Elena di Savoia di Bari, sapendo che avremmo condiviso uno stesso viaggio con lo stesso tipo di emozioni e di esperienze.

Per ora la stanchezza si fa sentire e ci ricorda un po’ che quello che stiamo andando a visitare non è un luogo di villeggiatura.

Sono le 1,00 del 28 gennaio e gli abbracci e le posizioni accoccolate negli scomodi sedili del pullman sono davvero straordinarie.

Allora ci stiamo veramente muovendo! Uno alla volta tutti sono crollati per il sonno e la stanchezza.

L’unione e gli abbracci ci stanno U-NENDO. W Gruppo U

Il tempo scorre tra un @twitt e una foto su Instagram. Siamo in diretta live con il sito della nostra scuola e con i compagni di classe che sono curiosi di sapere tutti i particolari della nostra insolita esperienza.

La mattina seguente ci viene proposto il Tema del viaggio. L’IMMIGRAZIONE. Sull’argomento si discute tutti liberamente, nel pieno rispetto delle opinioni e posizioni.

Visioniamo un film sul tema, dal titolo L’Onda, tratto dal romanzo di Todd Strasser. L’onda, a sua volta basato sull’esperimento sociale denominato La Terza Onda, avvenuto nel 1967 in California. Un film che ci ha fatto scaturire varie riflessioni e opinioni.

Siamo ancora increduli. Ora siamo in viaggio verso Budapest. Non contiamo più gli sms a tutti: Tim.

Vodafone. Wind. Tre. Ci danno i vari benvenuti delle nazioni che attraversiamo. E passando dalla Croazia e dalla Slovenia siamo finalmente giunti in Ungheria per arrivare Alla meravigliosa Budapest.

 

 

 

 

GIORNO 2       28 gennaio   Tanta stanchezza e poi …finalmente Budapest!

Dopo 24 ore di viaggio, ore scandite dai ritardi e dalla stanchezza, siamo a Budapest. Non vediamo l’ora di una doccia ristoratrice e di un letto dove stendere le membra doloranti e annichilite.

L’ostello che ci è stato assegnato ci sembra favoloso, è coloratissimo e accogliente. Chissà perché ci aspettavamo pareti grigie e scarafaggi a darci il benvenuto. Siamo all’ostello Casa della musica.

Budapest è famosa per aver dato i natali a famosi musicisti e la musica fa da padrona in ogni angolo. Che armonia!

Colorato e allegro, ma con camere spartane, la casa della Musica ci accoglie in 16 ragazze in un’enorme stanzone. L’atmosfera cameratesca è a dir poco eccitante. Nuove esperienze e nuove emozioni ci aspettano. Anche se in questa atmosfera, i nostri pensieri non possono non andare a quelle immagini, agli enormi stanzoni di deportazione, al freddo e all’orrore delle donne rasate e spogliate della loro identità nelle baracche della deportazione e della morte. Ora, però, sappiamo che ce la faremo, perché stiamo insieme e insieme supereremo tutte le paure. Il Prof. Mastronardi ci rassicura con il suo sorriso e la sua forza. Abbiamo fatto 3 piani a piedi, in ostello non c’è l’ascensore, e come delle spine/camerate, il primo giorno di militare, ci è toccato prepararci il letto/branda prima di tuffarci in un sonnellino ristoratore. Dopo due ore siamo pronti per uscire a visitare Budapest. La città che è divisa tra Buda e Pest da un ponte detto il Ponte delle Catene. Il Danubio divide la bellissima città e percorrendo i vari ponti abbiamo visitato la città. Proseguendo la visita e abbiamo visto il Parlamento di Budapest che di sera viene completamente illuminato Prima tappa: il Museo dell’Olocausto e la più grande Sinagoga di Europa costruita nel 1859, ed accanto il Museo Ebraico Ungherese aperto nel 1932, luoghi sacri che espongono e rappresentano la storia di 1000 anni della comunità ebraica ungherese. Le tradizioni religiose, la vita quotidiana, il terrore dell’Olocausto. Crudeltà e ancora crudeltà. Mentre un vento gelido ci accompagna in questa nostro percorso di storia e memoria a Budapest. Percepiamo appena i -15 gradi della notte ungherese. Ci scalda la voglia di conoscerci e l’amicizia che si sta facendo strada, nel senso più autentico, dentro ognuno di noi. Quando si visita una nuova città c’è sempre quella voglia di visitarla tutta. Ed ecco che tutti siamo stati assorbiti dalle viuzze del centro di questa imperiale e maestosa città ungherese. Malgrado l’indolenzimento e le energie quasi a zero, abbiamo girovagato tra i vari ponti, tutti splendidi, fino all’alba. Ci siamo concessi un giro perlustrativo defaticante, abbiamo approfittato per imbucarci in varie viuzze, bar e negozietti alla ricerca, come da copione per futuri tecnici della ristorazione, del tipico food. Come tutti i viaggi, tutti cercano di vedere tutta la città. Ma farlo in un giorno è difficile e cercando di decidere cosa fare, alla fine impieghiamo più tempo per metterci d’accordo.

 

 

GIORNO 3     29 gennaio   Giorgio Perlasca, uno dei “Giusti” delle Nazioni.

Budapest è la città di Giorgio Perlasca, uno dei “giusti”. La città infatti è pervasa da un’atmosfera di positività; questo uomo è riuscito a salvare migliaia di ebrei dalla cattiveria dei nazisti, fingendosi ambasciatore spagnolo e fornendo documenti falsi agli ebrei così che i tedeschi non li potessero deportare. Abbiamo dunque ripercorso le tappe più importanti della vita di questo grande uomo.

Abbiamo visitato l’ambasciata spagnola e l’ambasciata italiana, la casa del terrore che ricorda le croci frecciate, ungheresi fascisti che deportavano ebrei ungheresi. Le case protette di Perlasca nelle quali il Giusto nascondeva gli ebrei con i documenti falsi. Il Ponte delle Catene sul quale Perlasca è riuscito a bloccare la deportazione di centinaia di ebrei.

Infine per terminare la visita siamo entrati nel cuore della deportazione degli ebrei: il Monumento delle scarpe. Sulla riva del Danubio vi sono decine di scarpe di ferro per ricordare le uccisioni di massa degli ebrei: questi già spogliati dei loro vestiti ma soprattutto della loro vita e del loro nome venivano ulteriormente umiliati facendogli togliere persino le scarpe prima di fucilarli e gettarli nel fiume. Sul luogo in memoria degli ebrei uccisi abbiamo letto un memoriale e acceso delle candele come segno di rispetto e di ricordo.

La tappa di Budapest è stata fondamentale: abbiamo iniziato a poco a poco a comprendere i movimenti dei nazisti e la loro cattiveria prima di arrivare a Cracovia e toccare veramente con mano la loro crudeltà.

Ecco perché “scoprire il valore della storia”. Perché per capire la storia e lo sviluppo di un intero processo storico, bisogna porre attenzione anche ai piccoli avvenimenti. Perché la storia è la narrazione di fatti umani, fatta da uomini. Perché l’ascesa del Nazismo non sarebbe stata possibile senza l’appoggio del popolo, lo stesso popolo che, stremato dalle condizioni sociali ed economiche estenuanti, si affidava ciecamente al figura di Hitler, “salvatore” della Germania ariana umiliata dagli stranieri.

Ecco perché, accanto alla storia che conosciamo tutti, scritta sui libri, è doveroso andare a fondo in un’altra storia: quella dei singoli cittadini che quella storia l’hanno fatta e che hanno deciso ad un certo punto di consegnare il potere democratico in mano ad uno che lo avrebbe stravolto.

La consapevolezza del proprio ruolo all’interno della società allora diventa determinante per far sì che simili errori umani non avvengano più.

Lezione che soprattutto in questo momento ci è utile particolarmente, vista l’ascesa esponenziale ed asfissiante di partiti che predicano l’odio come veniva predicato allora. E come allora, la semplicità con cui prendono piede tali idee dovrebbe farci davvero paura poiché sintomo di una società che non è riuscita ancora a fare propria la storia.

Domani mattina ci alzeremo prestissimo per andare a Cracovia, ci aspettano 8 ore di viaggio.

Domani avremo l’occasione di vedere un altro pezzo di storia, un altro Giusto: la fabbrica di Schindler, toccheremo con mano il suo tentativo di sottrarre tante povere vittime alle leggi persecutorie che la deriva ideologica hitleriana aveva concepito.

GIORNO 4: 30 gennaio      Tempo libero e riflessioni

Partenza per Cracovia; siamo arrivati nel tardo pomeriggio e abbiamo visitato la città.

Sei giovani attori ci hanno seguito nel nostro viaggio e con grande bravura e sentimento hanno recitato per noi nei luoghi più importanti di Cracovia. Ci hanno prima fatto sentire dei deportati e poi delle SS; questo gioco di ruoli è stato molto emozionante perché ci ha fatto immaginare gli stati d’animo dei deportati e dei nazisti.

Continuamente ci viene descritto il progetto nazista come frutto della pazzia di un uomo, ma purtroppo pare sempre più riduttivo definirlo come tale. E questo ci fa paura.

Durante tutta la giornata numerose volte ci hanno raccontato di come fosse l’organizzazione dei territori conquistati dai nazisti e di come amministrassero sia i possedimenti sia le persone al loro interno.

Tale era la complessità e la precisione della gestione tedesca che sembra impossibile che in tutto ciò ci potesse essere lo zampino della pazzia. Al contrario, solo una mente lucida avrebbe potuto prevedere un ingegno così macchinoso ma al contempo perfettamente funzionante.

 

GIORNO 5      31 gennaio     La pazzia non c’entra! 

Siamo partiti questa mattina dal ghetto di Cracovia.

Una piazza. Vuota. Con alcune sedie di legno incastonate nel cemento.

Si racconta che ogni sedia fu pensata per rappresentare mille Ebrei di Cracovia scomparsi.

Si avverte un senso di mancanza. Lì manca sicuramente qualcosa. Si avverte la non presenza di tutti coloro che furono prima rinchiusi in quel luogo e poi sradicati come si fa con la zizzania.

Ma non si stavano sradicando solo persone: nel caso della Polonia, si stava eliminando un intero pezzo di cultura polacca che per secoli aveva caratterizzato il territorio.

Quelle sedie sono 70.

Forse sarebbero state 71 quelle sedie se non fosse stato per un solo uomo: Oskar Schindler. Unico nazista nel “Libro dei giusti fra le Nazioni”, riuscì a maturare nel tempo l’idea di salvare quanti più Ebrei possibile. 1100 vissero grazie a lui.

Oggi la sua fabbrica è divenuta museo delle oppressioni perpetrate agli Ebrei. In quel museo si vedono ora i loro volti, i loro scritti e anche i volti dei disumani persecutori.

Passeggiare per le vie è stata ancora più desolante. Abbiamo assistito a una scena teatrale in mezzo alla piazza che ci ha ammutoliti per 5 minuti nei quali la storia ha pressato per un attimo sulle nostre coscienze quiete.

È seguito un silenzio assordante. Sembrava come di sentire ancora la voce di coloro che in quelle vie ci erano stati. Proprio la loro voce poi abbiamo invece ascoltato questa sera. Dialoghi, monologhi e voci fuoricampo ci hanno messo di fronte alle vere testimonianze dei sopravvissuti e dei loro persecutori.

Le abbiamo ascoltate in un’altra rappresentazione teatrale in 11 scene con un solo personaggio che leggeva le trascrizioni degli interrogatori del processo di Francoforte sul Meno. Voci forti e flebili, acute e gravi, sicure e incerte che raccontavano una verità tremenda: quella di Auschwitz.

Voci che con perizia millimetrica portavano alla luce una tragedia sepolta nelle carte che nessuno aveva avuto prima il coraggio di spolverare. Silenzio anche qui. Nessuno che si alza. Si resta seduti per qualche minuto e una volta alzati si cammina incerti sulle ginocchia molli. Domani ci sarà La visita.

Non sappiamo cosa aspettarci. La verità ci schiaccerà o ci porterà a voler combattere ancora più forte? Un vento gelido ci accompagna.

Giorno 6: 1 febbraio   La realtà è peggio.

È stato il giorno più difficile perché siamo andati ad Auswiztch e Birkenau.

Il primo un campo di concentramento nel quale gli ebrei lavoravano, il secondo un campo di sterminio nel quale gli ebrei venivano uccisi.

Racconterò poco di ciò che abbiamo visto, poiché ogni persona prova sensazioni diverse e non si può descrivere ciò che c’è nei campi, perché si può capire solo vedendo e soprattutto riflettendo e provando emozioni.

Auswiztch è diviso in blocchi, vi è ancora una camera a gas e si possono vedere immagini che in Italia vengono censurate, e oggetti che fanno comprendere realmente la condizione dei deportati.

Un’aria triste e silenziosa pervadeva tutto il campo e pareva ancora di vedere e sentire le pene degli ebrei.

A Birkenau vi sono poche baracche poiché i nazisti hanno fatto implodere tutto prima dell’arrivo degli alleati; Birkenau è cinque volte più grosso di Auswiztch e vi potevano stare dalle 90.000 alle 100.000 persone: tutte pronte per essere portate nelle 4 camere a gas.

Questo campo di sterminio è famoso perché era sede dei terribili esperimenti del “dottor” Mengele; a Birkenau l’aria era soffocante e opprimente e l’immensità del luogo era terribilmente spaventosa.

Per ricordare ancora di più le vittime abbiamo letto un memoriale e ogni ragazzo ha letto un nome di un deportato, cosi da ricordare gli ebrei non come massa di persone succubi della cattiveria umana ma come individui con un nome ed un cognome.

I film non bastano, le immagini neanche, l’immaginazione è insufficiente. Ad Auschwitz la realtà l’ha superata.

1 milione e mezzo di numeri. Prima erano nomi. Prima ancora erano state persone.

78 mila scarpe. 1 tonnellata di capelli. Decine di migliaia di utensili. Alcuni numeri che rappresentano una parte infinitesimale del dramma e che occupano ciascuno camere di 10 metri per 10 per 4.

È stato sconvolgente trovare la neve posata su alberi inerti, il colore bianco attenua il grigiore dei tetti delle baracche. L’aria sferzante si infila nei nostri respiri irregolari e ansimanti, lì ad Auschwitz. In tutte le scene che conosciamo c’è la neve, ma qui ci  appare ancor di più un ambiente spettrale.

Abbiamo strati di vestiti e ci pervade il senso di colpa se pensiamo ai loro pigiami a righe.

Abbiamo realizzato ad un tratto quanto tutto fosse stato reale. Da ambientazione cinematografica e retroscena libresco atemporale, il campo si è trasformato ad un tratto in un teatro dell’oppressione, cinema della violenza, apoteosi del disumano, seppur concepito da uomini.

Abbiamo concretizzato improvvisamente lo scorrere del tempo. Ogni internato doveva stare lì giorno dopo giorno vedendo scorrere le stagioni, le piogge, la neve, il sole, le stelle, la luna, disarmati.

La neve che cementava i piedi al terreno, il vento che tagliava i loro corpi. Più della metà degli internati moriva.

Un odore asprigno, aria pesante si infiltra nei nostri polmoni, si fa strada nel nostro corpo, diventa difficile salire gli alti scalini degli edifici che ogni giorno venivano percorsi da scheletri trascinati del vento come la corrente marina fa con le meduse.

Questi scheletri che prima erano stati privati degli affetti, poi degli averi, poi dei vestiti, poi dei capelli, poi del nome e infine della loro identità non erano più padroni della loro vita alla quale erano attaccati come una foglia caduca al proprio albero che gli dà ancora qualche goccia di linfa.

Ancora oggi tutto di quel posto rifugge da questa atroce verità: la terra rigetta le ceneri, il vento le trasporta lontano, perfino il sole si rifugia dietro le nuvole per non vedere e non ricordarsi dell’accaduto.

Eppure durante la visita pare di incontrare uno per uno i volti di quelle persone passate per i camini, fucilate, avvelenate, morte di fame e di stenti, rimaste e morte nei “canili”.

Una volta incontrati è doveroso portarne almeno uno con noi, fuori da lì e liberarli ancora una volta dell’oppressione. Solo tramite la memoria e l’impegno nel quotidiano è possibile, proprio lì dove gli stessi ideali stanno rinascendo a portare nuova discriminazione e dolore.

Una volta tutti tacquero. Non dobbiamo “ripermetterlo”.

Stiamo riflettendo su tutto ciò all’1:15 di notte a distanza di 10 ore dalla visita e ancora è difficile cumulare il tutto e metabolizzarlo.

Domani faremo un’assemblea conclusiva per cercare di passare alla fase d’azione successiva alla nostra esperienza per poi trasmettere agli altri ciò che abbiamo vissuto.

Giorno 7      2 febbraio  Pensieri, riflessioni e propositi

Il viaggio si sta concludendo e dopo una piccola assemblea di restituzione siamo ripartiti per l’Italia.

 

Giorno 8     3 febbraio   Ripartenza e Suggestioni

Sveglia prestissimo, ultima colazione polacca e … si parte per tornare a casa.

“Treno della Memoria”, è più che appropriato chiamare così questo viaggio: non dimenticheremo ciò che abbiamo visto, toccato e provato.

Il messaggio che vogliamo trasmettere è quello di non cedere mai davanti alle difficoltà della vita perché la forza di volontà è quella che ci mantiene vivi.

Per descrivere il dolore e la condizione degli internati probabilmente sarebbe necessario inventare un nuovo vocabolario perché le nostre parole non sono abbastanza efficaci per spiegare. Proveremo comunque a farlo ai nostri compagni di classe con tutte le parole a disposizione.

Giorno 9      4 febbraio    Arrivo …Bisogna salutarsi

Abbracci stretti e prolungati riempiono le nostre ultime ore di viaggio. Lacrime, sorrisi e promesse risuonano tra le file del pullman.

Siamo cambiati, siamo cresciti in questi 8 giorni. Siamo stati con centinaia di altri studenti, ma fondamentalmente siamo stati spesso soli con noi stessi. Una sensazione che ci porteremo dentro per sempre

 

 

Conclusioni

 

Per chi come noi ha vissuto l’esperienza del Treno della Memoria non è retorico e scontato affermare che visitare il Campo di Auschwitz-Birkenau significa diventare testimoni diretti della pagina più oscura scritta dall’umanità nel secolo scorso.

L’aver partecipato ha rappresentato per noi un viaggio necessario per fare i conti con i tanti interrogativi che tale pagina lascia ancora aperti sul presente.

E’ stata ricorrente un po’ per tutti/e noi studenti/esse l’espressione “dopo aver visitato Auschwitz con il Treno della Memoria nulla è più come prima”.

Un viaggio che costruisce comunità, un viaggio che contamina, che attiva una nuova cittadinanza e ci ha cambiati/e per sempre.

Quest’anno il progetto si è ampliato con una tappa intermedia a Budapest, della durata di due giorni, che precede l’arrivo a Cracovia. Quindi non più solamente la pagina più scura della storia moderna, Auschwitz, ma uno spaccato significativo del secolo scorso attraverso viaggi in luoghi diversi in Europa.

Il Treno della Memoria ci ha “parlato” di storia e memoria del passato, ma anche di testimonianze ed impegno nel presente.

Così ci auguriamo che la memoria possa impedire di compiere gli stessi errori e permetterci di dare senso al futuro delle giovani generazioni.

 

In queste pagine di diario e con queste foto, abbiamo voluto raccontarvi il nostro viaggio.

Un nostro piccolo contributo per tutte le situazioni che nel presente vedono la perdita della dignità e dei diritti umani, per non dimenticare che il “non deve accadere mai più!” dipende dallo sforzo collettivo di tutti.

 

RINGRAZIAMENTI

Un grazie al Dirigente scolastico, prof. Giuseppe Verni, e soprattutto a colei che da anni organizza e si fa promotrice del Viaggio della Memoria per i nostri Istituti, la referente del Treno della Memoria, prof.ssa Angela Cino e al paziente “angelo custode”, prof. Vito Mastronardi

… e… dulcis in fundo … a tutti e a tutte noi …

Mancini Federica, La Selva Leonardo, Recchia Alessandro, Vagno Natalia, D’Aprile Sabrina, Ricciardi Deborah, Ludovico Maria Giovanna, Montone Ilaria, Polignano Giorgio, Sicialiani Claudia, Flaminia Renna, Secundo Rosangela, Lieggi Maria Pia, Pietro Schena.